sabato 10 aprile 2010

IMMIGRAZIONE. NULLA DA PERDERE (n°2- novembre 2009)

«Il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria è al collasso. Deve essere chiuso». Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma

Dopo una straordinaria campagna mediatica il governo è riuscito ad approvare il pacchetto sicurezza. Ennesima drastica misura che sancisce definitivamente la perdita da parte dei cittadini extracomunitari dei più elementari diritti della civiltà liberaldemocratica.Ciò per cui lottiamo non risiede certamente in questi vacui principi, ma la violazione di essi cidimostra come questo governo sia riuscito a far cadere il paese in un sonno pesante nel quale anche i “sinceri democratici” sono finiti. Sia ben chiaro le colpe non risiedono solamente nella figura di Maroni, ma si possono individuare nell’assetto economico-sociale contingente.Per analizzare la parabola del razzismo italiano è però necessario partire dal 1 998. In quell’anno il governo di centro-sinistra approva la legge Turco Napolitano e istituisce i tristemente noti CPT. Centri di reclusione per stranieri in attesa di essere espatriati. Semplificando prigioni in cui rinchiudere i clandestini che non sono entrati,o sono stati espulsi dall mercato del lavoro nerogestito dal caporalato italiano, che protegge la sua forza lavoro ammassandola in condizioni disumane. Oltre all'introduzione delle galere per migranti la Turco Napolitano porta con sé un nuovo soggetto, introducendo un principio che ispirerà la catastrofica legge Bossi-Fini. Il soggetto in questione è il garante per l'inserimento nel mercato del lavoro dell'immigrato. Una sorta disponsor per restare in Italia. Il principio, a cui facevo riferimento sopra, è quello che lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro.Questo sarà il perno sul quale verrà costruita la tristemente nota Bossi- Fini. Permesso di soggiorno rilasciato a chi ha già un contratto di lavoro. Manna dal cielo per gli sfruttatorinostrani di clandestini, che possono ricattare in qualsiasi modo i lavoratori.Per chi viene licenziato o per chi resta senza contratto ci sono due possibilità: diventare clandestini oppure essere espulsi. Da notare è il quadro teorico che questa legge utilizza, il migrante perde il suo status di persona per divenire merce. L'unica importanza che gli viene attribuita è quella di essere forza lavoro ricattabile e di facile reperibilità. I padronipossono così utilizzare questa nuova manodopera per un livellamento verso il basso dei salari, generando la nota guerra tra poveri. La grossa ricattabilità fa cadere i lavoratori immigrati nell'impossibilità di portare avanti lotte nei posti di lavoro. Il loro basso salario scatena le ire degli altri lavoratori italiani che attribuiscono a loro la causa della disoccupazione e vedono in loro una concorrenza sleale.Il divide et impera ancora regge, d'altronde si sa: la lotta di classe è il “motore della storia” e i capitalisti di oggi, come quelli di ieri, fanno di tutto per metterci grossi granelli di sabbia.Tornando all'istituzionalizzazione del razzismo riparto dal già citato pacchetto sicurezza che da luglio sta sconvolgendo la vita dei migranti in Italia. Introduzione del reato diimmigrazione clandestina , introduzione delle ronde, ripristino del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, tassa per il permesso di soggiorno, accesso precluso ad asili nido,anagrafe e medico di base per i clandestini. Queste alcune delle nuove leggi che cancellano qualsiasi diritto per i clandestini. In pochi mesi si sono già registrati diversi decessi causati dalla paura di essere denunciati una volta entrati nelle strutture del servizio sanitario pubblico, alla faccia del diritto alla salute. I clandestini hanno paura. Paura della polizia, paura degli italiani, paura dei padroni. In molti restano rinchiusi in casa ed escono solo se strettamente necessario. Stanno facendo delle abitazioni delle piccole carceri in cui uscire solo per vendere la propria forza lavoro in nero.I luoghi simbolo della politica razzista hanno cambiato nome, non più c.p.t., ma c.i.e. Il pacchetto sicurezza ha allungato il periodo di detenzione in questi lager da tre a sei mesi.E' li dentro che qualcosa si sta muovendo. Da mesi ormai i reclusi protestanocontro le condizioni di vita: Gradisca, Torino, Milano, Ponte Galeria stanno creando grossi grattacapi al governo e alle forze dell'ordine. I prigionieri distruggono muri, battono sulle sbarreevadono e protraggono gli scioperi della fame per giorni. I solidali da fuori organizzano cortei, presidi e si tengono in stretto contatto con l'interno. Quellli che stanno dentro nonhanno nulla da perdere, noi abbiamo la dignità da conquistare.Qui di seguito la testimonianza pubblicata da fortresseeurope di uno dei complici della macchinadelle espulsioni. Che l'indignazione lasci il posto alla rabbia...Una guardia di frontiera racconta la violenza ordinaria dei rimpatri coattiI rimpatri fanno parte del suo quotidiano. È agente della polizia di frontiera (PAF), grado: “guardiano della pace”, in servizio all’unità nazionale di scorta, di sostegno e di intervento (Unesi), con base a Rungins, e ha il compito di “riaccompagnare” gli stranieri espulsi nel loro paese d’origine.Ben voluto dai suoi superiori, non è né sindacalizzato né vicino all’età della pensione. Inizialmente non aveva intenzione di parlare con un giornalista. Un collaboratore di “Mediapart” ci ha messosulle sue tracce. E allora questo poliziotto si è convinto dell’interesse di dettagliare il funzionamento, dall’interno, della macchina delle espulsioni messa in moto da NicolasSarkozy.Ha accettato di parlare “in nome della trasparenza”, ma ha preferito restare anonimo per non essere identificato. Il suo racconto è pubblicato in due parti. Dalle manette alle cinghie, passando per i placcaggi al suolo e gli strangolamenti, la prima parte è dedicata ai metodi adoperati per costringere gli illegali a salire e restare sugli aerei che li riportano al paese che hanno voluto lasciare. Più appare banalizzato e camuffato più il ricorso alla violenza è risulta insidioso.«Abbiamo un’ora per convincere il tipo a partire»«Faccio una quindicina di rimpatri al mese. Ci chiamano un giorno prima della partenza, o al Venerdì per il fine settimana. Ci danno un dossier per la scorta, coi documenti della persona espulsa e la rotta aerea, gli ordini di missione che rimpiazzano le carte di polizia e le spese della missione. All’aeroporto si arriva due ore prima del volo. Si ha un’ora per conoscere il ragazzo, per vedere chi è, se ha un problema per esempio medico, se c’è qualche problema coi documenti. Equesta è quella che si chiama la “presa in carico della missione”. Ma si hanno poche informazioni. Abbiamo un’ora per convincere il tipo a partire e per caricarlo sull’aereo coi passeggeri normali. Questo succede all’ULE, l’Unità Locale di Allontanamento, di Roissy o di Orly, dove le persone sono messe in cella. L’ULE è la zona tampone tra il CRA [i Cie francesi, ndT] e l’aereo. Per l’Africa ci sono tre poliziotti di scorta, due per il resto del mondo.»«Risse sull’aereo»«Quando ci si azzuffa nell’ULE o sull’aereo è perché la maggior parte della gente non vuole partire. Si consideri che siamo pagati per rimpatriarli, non per infastidirli. Quindi gli spieghiamo e loro capiscono. E se non capiscono tanto peggio per loro. La regola immigrazione ufficiale, l’ordine di servizio, è che non dobbiamo scortarli a tutti i costi. Per esempio se un tipo è malato non lo metto sull’aereo. Il peggio è quando vomitano o si cagano addosso. Non c’è da ridere. Sputano e mordono, anche. Quando succedono questo genere di cose li si fa subito scendere, non si insiste. Solo per le ITF [interdizioni dal territorio] facciamo il possibile per farli partire perché hanno commesso delitti o reati gravi. Ad ogni modo chi non parte viene portato direttamente in prigione per due o tre mesi per violenza a pubblico ufficiale. Salvo che non venga riconosciuta la legittimità delle sue azioni dal giudice di Bobigny, perché a Bobigny ci sono giudici che sono completamente contro la polizia. È un distretto speciale. Per quanto riguarda le APRF [arresti prefetturali di rimpatrio alla frontiera] ai tipi spieghiamo che se non partono è da considerarsi un rifiuto, e che saranno messi su un altro volo alla fine della detenzione. Gli viene detto: “tu riparti comunque”. I tipi che vengono espulsi sono dei poveri ragazzi, ne siamo perfettamente consapevoli. Sono dei tipi che vengono a cercare lavoro. Noi gli spieghiamo: “non è un tiro mancino, so che non è divertente, ma sei obbligato a partire”, abbiamo un ora per spiegarglielo. Il problema è che laCimade [il principale gestore dei Centri francesi, ndT], e tutte le associazioni, gli montano la testa, gli procurano anche i lassativi eventualmente…»«Manette, cinture addominali e cinghie…»«Noi gli spieghiamo, se capiscono tanto meglio. Ma se vediamo che si agitano li mettiamo a terra con le manette, prima dell’imbarco, dietro l’aereo. Abbiamo una formazione iniziale che dura un mese, e riguarda ciò che abbiamo diritto di fare, ogni tre mesi c’è un aggiornamento, che vuol dire che si fa una sessione di formazione intensiva di un giorno. Con le persone di cui non ci fidiamo usiamo cinture di velcro che si mettono attorno la vita. Il ragazzo può avere le mani legate davanti, sullo stomaco. Al commissariato avevamo cinture di cuoio. Sono dispositivi abbastanza inadatti e funzionano male perché si regolano con degli strappi e i tipi tirano forte, e quando c’è un nero di 1 1 0 chili le strappa. Possiamo anche utilizzare delle cinghie da mettere sopra le ginocchia, sulle caviglie o sul petto. E se il tipo si dimena troppo ne tendiamo una tra le caviglie e il petto per evitare che dia colpi di testa. A volte attacchiamo un cuscino al sedile di fronte, per la stessa ragione. Per un po’ di tempo non abbiamo potuto usare le manette, solo perché c’è statodetto che costavano troppo. Quindi ci hanno dato manette di tessuto usa e getta, che sono completamente inefficaci, se non coi tipi tranquilli. Una volta stavo facendo un asiatico, il tipo è salito tranquillamente, era persino contento di tornare. In realtà era un attaccabrighe, abbiamo dovuto combattere durante il volo per due ore. Lo abbiamo domato, ma il problema è che con le manette di tessuto non lo si poteva legare, stava strangolando un mio collega, io gli sono saltato addosso, lui era atletico. È stata una missione di merda. Per fortuna i passeggeri non si sono mossi. Ora fortunatamente abbiamo delle vere manette di metallo. Se il ragazzo è tranquillo si evita la violenza, la coercizione, l’uso delle cinghie, le utilizziamo il minimo possibile. E di solitova molto meglio. Il manuale GTPI [tecniche professionali d’intervento] è lo stesso dal 2003. Per esempio la tecnica del “pliage” [che ha causato la morte di due deportati, nel 2003 e nel 2004] è severamente vietata in tutti i casi e noi non la usiamo mai. Nel nostro reparto non usiamo più i bavagli. Ma io metto le mascherine per impedirgli di sputare, sapete, quelle che si usano quando si usa la vernice.»«Lo strangolamento è perfettamente autorizzato, è nel manuale»«Il massimo che siamo autorizzati a fare è un tipo di strangolamento che chiamiamo “regolazione fonica”. Si tratta di fare delle pressioni sulla gola perché il tipo non gridi. È perfettamente autorizzato, sta nel manuale. Sennò quello che facciamo più spesso è di immobilizzarli a terra. Si mette il tipo a terra, lo si placca al suolo. Nelle nostre missioni abbiamo un rapporto di peso diciamo. Cioè che il totale del peso dei poliziotti della scorta deve essere il doppio del peso del tipo. Il fatto di essere in numero maggiore e di avere la possibilità di metterlo al suolo e immobilizzarlo ci evita di doverlo picchiare. Prima rifiutavo l’uso della forza, ma adesso, quando qualcuno è ottuso, gli facciamo capire subito che noi siamo più forti di lui, e una volta che l’ha capito iniziamo a ragionare. Gli africani a volte, fanno i duri e quando gli parli in modo gentile ti prendonoper un debole. Ma una volta che si ritrovano con la faccia per terra e le cinghie strette, che gli dici “com’è che ora fai meno il furbo, salame?”, là cominciano a rispettarti un po’. Io l’ho fatto un paio di volte, forse tre. So che ci sono colleghi con lo schiaffo facile, ma grossi bruti da noi ce ne sono molto pochi. Se li picchiamo gli diamo pugni nello stomaco, perché non si devono vedere i segni. Se poi il tipo si prende un sacco di botte, vuol dire che se l’è cercata, è già successo, attenzione, non ci giro intorno, ma c’è chi se lo merita. Per esempio quello che ha morso il dito a un poliziotto, quello là si è preso un sacco di botte, è sicuro, è comprensibile. Insomma, questo succede quando ci sono delle violenze su di noi o sull’equipaggio dell’aereo.»«Quando ci sono problemi i celerini usano i lacrimogeni nell’aereo»«Quando saliamo nell’aero, ci siamo noi, la persona rimpatriata, la polizia dei Centri di detenzione amministrativa, gli agenti dell’ULE, quindi siamo in parecchi poliziotti. Ma in caso di necessità, se servono rinforzi, chiamiamo i CIP, cioè la compagnia di intervento degli aeroporti di Orly o Roissy, che sono dei celerini. Loro sono meno formati di noi, sono loro che lanciano i lacrimogeni nell’aereo quando c’è un problema. Li chiamiamo solo quando ci sono operazioni da fare a bordo, quando siamo obbligati a far scendere gente che cerca veramente di far degenerare le cose. Ma quando si chiudono le porte, ci ritroviamo da soli. Noi siamo sempre in borghese, niente armi. In generale riusciamo sempre a far montare i tipi da espellere sull’aereo, è il nostro mestiere. Gridano, sbattono, spaccano i sedili a volte, le hostess piangono, vabbé. I problemi arrivano quando i passeggeri si mettono in mezzo. Ci sono stati dei filosofi peresempio. Gente che non sapeva niente ma che veniva a fare la parte dei giusti. Vedevano dei neri circondati da bianchi e gridavano allo scandalo. Quando magari il rimpatrio procedeva bene, e riuscivano a fare alzare tutti. In seguito, l’Air France è stata accusata di aver dato i nomi diquesta gente alla polizia. È vero, la ma quelli dell’Air France si erano rotti di farsi trattare da nazisti o da collaborazionisti.»«Il “rapporto di forza” con il comandante di bordo»«Giuridicamente, il comandante di bordo è quello che comanda dentro all’aereo daquando le porte sono chiuse. Ma prima comandiamo ancora noi. Se ci chiedono discendere, il capo missione dice: “no, finché le porte sono aperte noi non scendiamo”. Poi chiamiamo il nostro ufficiale e finché non arriva non ci muoviamo: e questo fa imbestialire tutti, è proprio una questione di rapporti di forza. L’ufficiale arriva, arriva la Celere, l’aereo non riesce a partire in orario e alla fine non può decollare e viene annullato. Questo, giuridicamente, è il massimo. Se scendiamo, perdono tutti. Gli ordini, poi, dipendono dagli ufficiali. Il problema è che la maggior parte di loro non vogliono scontrarsi direttamente con l’Air France. Una volta, alla Lufthansa bastava un colpo di tosse di un espulso e ci facevano scendere, preferivano cancellare un volo che fare un rimpatrio. L’Alitalia pure, e anche Royal Air Maroc. Adesso non facciamo più le compagnie africane, per fortuna, perché là veramente era difficile. A volte dobbiamo minacciare il personale di bordo, perché si dimenticano che siamo poliziotti, e che possiamodenunciarli per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, ma in generale va bene. Un comandante di bordo ci ha detto che durante un rimpatrio c’è stata una rivolta e che un ragazzo era stato calpestato. Noi ne si è perfettamente coscienti. Loro se vogliono decollare hanno tutto l’interesse di lasciarci sul volo. Una volta in volo di solito le cose vanno bene. Dipende dalla collaborazione dell’uomo e dalla fiducia dei colleghi e dell’equipaggio. Ma la maggior parte delle volte sleghiamo il ragazzo.»«Dobbiamo imparare a sbrogliarcela all’estero»Ci sono persone bilingue tra di noi per gestire le situazioni all’estero. Spesso i rapporti con la polizia locale non sono l’ideale. Possono fare dei problemi per via dei documenti, possono rifiutare il rimpatrio. In certi Paesi dell’Africa non ci amano, fanno prova di cattiva volontà. Di solito quando arriviamo ci aspetta la SCTIP, il servizio di cooperazione tecnica internazionale di polizia che fa capo all’ambasciata. In Sudamerica c’è l’Interpol che ci accoglie quando trasportiamo spacciatori e criminali. Nella maggior parte degli altri Paesi prendiamo contatto con le autorità locali. Gli trasmettiamo il dossier del tipo espulso, con tutto quello che ha fatto in Francia. Se è stato buono sull’aereo allora leviamo dal dossier tutti i documenti che potrebbero portarlo in prigione.In Tunisia, sistematicamente, gli espulsi si fanno tre giorni di carcere. In Algeria sonopiù simpatici, anche con gli espulsi. Anche in Marocco se la passano bene. Ci è successo spesso di riportare al paese loro dei delinquenti, la feccia proprio. Fanno i malandrini quando sono in Francia, ma quando vedono i poliziotti del paese loro imparano immediatamente le buone maniere. Fa piacere. Bisognerebbe farglieli fare più spesso, degli stages al loro paese.»

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