sabato 10 aprile 2010

LA LOTTA DEGLI OPERAI ALCOA IN DIFESA DEL POSTO DI LAVORO (n°3 - aprile 2010)

I padroni licenziano, chiudono gli stabilimenti, delocalizzano, mettono in cassa integrazione. I servi dei padroni reprimono, manganellano ed incarcerano chi lotta per il proprio futuro.
Ma sono in aumento i casi di operai che si ribellano a questo sporco gioco di potere.

Il caso dell'Alcoa.
La lotta degli operai sardi per riuscire a mantenere il loro posto di lavoro è quotidiana, sono disposti a utilizzare qualsiasi mezzo possibile per riprendersi la loro dignità di lavoratori e il loro futuro.
L’unica risposta che hanno ottenuto è stata quella del manganello. Lo stato invece di salvaguardare il futuro degli operai continua a reprimere violentemente la loro lotta.

Lo scorso novembre la commissione europea impone alla multinazionale americana dell’alluminio Alcoa (due stabilimenti in Italia: Portovesme in Sardegna e Fusina nel Veneto, più tutto l’indotto, oltre 2mila posti di lavoro) di restituire le sovvenzioni avute dallo stato italiano sui prezzi dell’energia elettrica (giudicate un aiuto pubblico illegale). Dovendo pagare la “multa” e adattarsi a tariffe normali, i padroni dell’Alcoa iniziano a pensare di fare le valigie. Subito dopo l’annuncio di 2 settimane di interruzione della produzione, gli operai di Portovesme occupano lo stabilimento, sequestrando i dirigenti e continuando a lavorare. Pochi giorni dopo gli operai sardi vanno a Roma, per protestare contro la politica sporca e sfruttatrice della multinazionale, dirigendosi verso l’ambasciata statunitense dove sfondano i cordoni di polizia: un operaio finisce in ospedale per le manganellate in testa. La protesta si sposta sotto le finestre del ministero dello sviluppo economico. La Alcoa prende gli sconti di Scajola sull’energia e ritira per il momento la cassa integrazione.
A gennaio l’Alcoa ci riprova e annuncia 6 mesi di interruzione della produzione e di cassa integrazione a partire dal 6 febbraio. Si tratterebbe solo di un’anticamera della chiusura definitiva. I lavoratori reagiscono: blocchi stradali ripetuti sia a Portovesme che a Fusina, con barricate incendiate sulla statale, ferrovie bloccate e nuova protesta a Roma sotto l’ambasciata americana. Bloccato per ore l’aeroporto di Cagliari, ancora una volta le forze dell’ordine hanno caricato i lavoratori. Il 2 febbraio 800 operai sono a Roma per far sentire la propria voce durante l’incontro a palazzo Chigi tra governo, padroni dell’Alcoa e sindacati. Ancora nessun risultato utile, la trattativa viene rinviata ad incontri successivi. Pochi giorni dopo la Sardegna è bloccata da uno sciopero generale per la difesa dei posti di lavoro, con un corteo di decine di migliaia di lavoratori che attraversa Cagliari.
Il 4 marzo un gruppo di lavoratori dell’Alcoa raggiunge gli operai della Vinyls di Porto Torres all’Asinara. Questi lavoratori rischiano di perdere il lavoro per i tagli decisi dall’Eni e, per richiamare l’attenzione, hanno occupato l’ex carcere di massima sicurezza dell’isola, ribattezzandola l’“isola dei cassintegrati”.
Il 17 marzo viene approvato in via definitiva il decreto chiamato “salva-Alcoa”, che assicura alle grandi imprese di Sardegna e Sicilia prezzi scontati sull’energia elettrica. Dovrebbe essere sufficiente a convincere la multinazionale americana a riprendere la produzione, ma anche su questa legge dovrà comunque decidere la Commissione europea. Ancora una volta gli operai dell’Alcoa sono presenti sotto i palazzi di governo per farsi sentire.

Solidarietà agli operai sardi che continuano la loro lotta a testa alta.
Solidarietà a tutti gli operai che lottano per difendere il loro posto di lavoro ed il loro futuro.
Solidarietà ai famigliari di tutti gli operai che continuano a morire sul posto di lavoro, perché è inconcepibile che di lavoro si possa morire.

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