sabato 10 aprile 2010

EUSKADI. L'IPOCRISIA DELLO STATO SPAGNOLO (n° 3 - aprile 2010)

Il governo Zapatero, in maniera molto ipocrita, ha chiesto al governo cubano e alle associazioni per i diritti umani l’immediata liberazione dei detenuti politici cubani, facendo finta di nulla su ciò che causa lo stato spagnolo ai Paesi Baschi. In ambito internazionale Zapatero cerca di mostrare il suo impegno politico per salvaguardare la libertà politica di un paese sotto dittatura, ma continua a reprimere violentemente il movimento indipendentista basco facendo il possibile perché i media internazionali non vengano a sapere nulla delle torture che avvengono quotidianamente nei commissariati della polizia, portando avanti una criminalizzazione dei partiti della sinistra abertzale, sinistra indipendentista basca, incarcerando i suoi militanti. Il governo spagnolo continua ad ignorare le richieste che vengono fatte dal popolo basco sulla richiesta di un’amnistia per i detenuti politici, l’unica risposta che hanno avuto è stata quella degli arresti preventivi, delle deportazioni e della tortura dei militanti indipendentisti.
In Spagna esiste una legislazione antiterrorista che dà di fatto alle forze di polizia dei poteri speciali: se una persona è sospettata di terrorismo le forze dell’ordine possono detenere il soggetto in questione fino a cinque giorni senza possibilità di mettersi in contatto con l’esterno, di fatto è una detenzione segreta senza nessuna possibilità di mettersi in contatto con un avvocato né con i propri famigliari.
La maggior parte dei detenuti politici baschi sono distribuiti in centinaia di carceri in Spagna e in Francia, nei Paesi Baschi si trovano solo una decina di detenuti. Infatti un'altra rivendicazione del popolo basco è che i detenuti politici bachi devono tornare immediatamente nei Paesi Baschi, ma la strategia del governo spagnolo è che l’allontanamento dei detenuti dalla loro terra, Euskal Herria, è dovuta a motivi di sicurezza e di spazio. In realtà si tratta di una precisa pratica politica, praticata dal 1984, che porta avanti l’idea di rompere, con l’isolamento e la distanza, il forte sentimento di militanza politica.
Questa mossa politica ha generato solo grandi sofferenze nei familiari dei detenuti, che sono costretti a lunghi viaggi per poter visitare i propri cari e spesso senza riuscire a vedere il detenuto perché di norma il prigioniero viene spostato da un carcere all’altro senza che i familiari ne vengano a conoscenza .
La costituzione spagnola prevede delle leggi speciali L’articolo 384 bis della recente “Ley de enjuiciamento judicial” prevede la soppressione di alcuni fondamentali diritti dei detenuti, tutelati dalla Carta, nel caso di delitto compiuto da persona «integrata o relazionata con banda armata o con individui terroristi o ribelli». L’articolo 520 bis della stessa legge, al secondo comma, dà al giudice facoltà di «decretare lo stato di isolamento dei detenuti accusati dei delitti previsti all’articolo 384 bis». Ancora, secondo l’art 527 della stessa legge, il detenuto in regime di isolamento non potrà parlare con il suo legale (che in ogni caso potrà essere solo un avvocato nominato d’ufficio) né con i familiari, neanche per far conoscere il luogo della sua detenzione. Tale stato di totale isolamento dal mondo esterno può durare fino a settantadue ore prolungabili, su decisione motivata del giudice, per altre quarantotto. Questo permette di mettere sotto accusa non solo i membri effettivi dell’ETA ma anche tutto il tessuto sociale della sinistra abertzale (partiti della sinistra indipendentista basca), che lo stato spagnolo chiama «il fronte sociale dell’ETA» e che considera ugualmente parte dell’organizzazione armata.
È un’interpretazione ideologica perché nella maggior parte dei casi non c’è nessun fatto che possa far pensare ad un collegamento come questo. Durante questi cinque giorni, secondo quanto dichiarano i testimoni e le associazioni basche in difesa dei diritti umani, gli interrogatori di polizia sconfinerebbero regolarmente nella tortura e nei maltrattamenti.
Ogni anno vengono riscontrate più di cento denunce su casi di tortura avvenuti nelle caserme della guardia civil, ma la maggior parte delle volte chi subisce violenze preferisce non denunciarle per paura di ripercussioni.
Ora analizzerò un caso concreto per mostrare come si svolgono le torture all’interno di un commissariato di polizia durante questi terribili interrogatori.
Il caso che andremo ad analizzare è quello di Joxe Domingo Aizpurua. Il 2 giugno 1994 Joxe finiva di scontare la condanna a quattro anni di carcere nello stato francese, dopo una permanenza effettiva di tre anni. Nel momento in cui veniva messo in libertà dal carcere di Fleury Merogis, la polizia francese l’arrestò di nuovo per consegnarlo nella serata alla guardia civil a Irun (Pamplona).
La narrazione che segue è stata scritta dallo stesso Joxe, raccoglie le tremende torture sofferte nelle mani della guardia civil dall’istante stesso in cui, alle nove meno un quarto, venne introdotto nel furgone della polizia nella città di frontiera di Irun.
Le torture durarono diversi giorni,tra Donostia (San Sebastian) e Madrid, rimase in isolamento assoluto per un totale di quattordici giorni,includendo anche quelli di successivo isolamento carcerario.
Dopo essere passato dall’Audencia Nacional (tribunale speciale per i reati di terrorismo, con sede a Madrid)senza aver potuto nominare un avvocato di fiducia a causa dell’isolamento, venne rilasciato in libertà vigilata senza cauzione e tornò a Usurbil, nella provincia della Gipuzkia, suo paese di origine, dove fu accolto calorosamente dalla sua gente che gli organizzo una festa di ben tornato che riunì una moltitudine di persone.

Ecco il racconto del detenuto: “Alla frontiera mi fecero salire su un veicolo camuffato e tre agenti della guardia civil in borghese mi fecero stendere sulla parte posteriore de veicolo e, con il capo sempre coperto da un golfino, cominciarono a picchiarmi su tutto il corpo, testa, viso, ventre, testicoli…mentre mi insultavano e mi minacciavano”. Così fui trasferito al commissariato della guardia civil di San Sebastian, dove appena arrivato mi coprirono gli occhi con una specie di benda o di maschera con la quale rimasi durante tutto il periodo di detenzione, sia a San Sebastian che a Madrid. Me la toglievano solo davanti al medico fiscale e durante le dichiarazioni davanti all’avvocato d’ufficio.
Appena arrivati al commissariato di San Sebastian fui visitato da un presunto medico fiscale,che in nessun momento si presentò come tale.
Subito dopo la visita, e sempre con gli occhi bendati, cominciarono il lungo interrogatorio e le selvagge torture, che durarono l’intera notte senza cessare un solo attimo, fin verso le sette del mattino del tre giugno.
L’inizio delle torture fu come una specie di atto rituale.
Mi trovavo con gli occhi bendati immerso nel più assoluto silenzio, quando questo fu interrotto improvvisamente da grida, insulti e minacce,con altre due voci che mi parlavano alle orecchie e con rumori di passi militari attorno a me. Subito dopo mi misero una specie di benda ai polsi e cominciarono a coprirmi la testa con una borsa di plastica, cosa che è risaputa, causa un soffocamento immediato.
Ogni volta che me la mettevano, uno dei torturatori mi afferrava i polsi per controllare le pulsazioni e ordinava agli altri quando togliere la borsa. Tre secondi dopo me la infilavano di nuovo.
E in questo modo l’operazione venne ripetuta un’infinità di volte.
L’alternanza dei metodi di tortura consisteva nella borsa, elettrodi e le botte su tutto il corpo.
La borsa mi veniva imposta in sessioni da cinque a dieci volte e, dopo ogni serie, mi applicavano gli elettrodi.
Potevano essere applicati in qualunque parte del corpo: la punta dei piedi, i polpacci, le cosce, i testicoli e il pene(in modo particolare), la bocca, le mani, il petto…
A volte mi offrivano un bicchiere d’acqua e, mentre sorreggevo il bicchiere, mi applicavano di nuovo gli elettrodi sulla mano: nel rovesciare l’acqua si produceva una scarica ancora maggiore.
Immediatamente dopo le grida di dolore che lanciavo per l’applicazione degli elettrodi, venivano i pestaggi.
Sul viso e sul petto mi colpivano con il palmo della mano per non lasciare i segni, mentre sul ventre e nei testicoli lo facevano con il pugno chiuso. Mi colpivano ripetutamente sulla testa con una specie di libro, il che mi provocava la strana sensazione che la testa si stesse gonfiando.
In un’infinità di occasioni, per umiliarmi e per rivolgermi ogni tipo di insulto, mi denudavano completamente, cosa che mi dava un panico tremendo perché temevo che mi applicassero gli elettrodi direttamente sulla pelle; ma non lo fecero mai: me li applicarono sempre sopra i vestiti.
La serie di torture che ho descritto mi era imposta incessantemente, fin dall’inizio mi minacciarono, se avessi denunciato le torture al giudice o al quotidiano Eguin, di arrestare e incarcerare mia madre.
Poco prima di essere trasferito da San Sebastian a Madrid, mi introdussero in una cella scura, dove mi tolsero la benda, ma io rimasi al buio.
Mi obbligarono a stare in piedi contro la parete, però persi i sensi (durante le torture mi era successo varie volte) per la sofferenza della notte e rimasi steso al suolo nella cella con una sensazione che sono soliti chiamare “effetto discoteca”: vedevo sul soffitto e sulle pareti come dei piccoli cerchi d’ombra che si muovevano e sentivo solo il pianto di dolore che usciva da me stesso.
Poco dopo, un gruppo di torturatori, non so esattamente quanti, entrò nella cella e,coprendomi un’altra volta il viso con una coperta,tra insulti e minacce, mi interrogarono di nuovo, in cella, mentre ero steso al suolo.
Poi mi fecero alzare per portarmi a Madrid.
Dalla cella fino alla porta principale mi condussero con gli occhi bendati, ma all’uscita mi tolsero la benda e solo allora mi resi conto che mi trovavo nel commissariato della guardia civil del quartiere antico di San Sebastian.
Per la luce del giorno e per il poco traffico che c’era pensai che potessero essere più o meno le sei del mattino.
Durante quella lunga notte non mi avevano dato né la cena né niente altro.
E quando uscii dalla cella al mattino non fui visitato dal presunto medico fiscale prima menzionato.
All’interno di un furgone della guardia civil mi trasferirono a Madrid. Appena partiti da San Sebastian misero la musica a tutto volume e non l’abbassarono durante tutto il viaggio.
Il furgone era diviso in vari scompartimenti,cosa che impediva di vedere all’esterno; nello scompartimento del furgone dove mi avevano messo c’era solo un altoparlante.
Così in posizione fetale, con continui brividi, abbattuto e distrutto dalla lunga notte di torture, mi portarono fino a Madrid.
Quando ci trovavamo già all’interno del posto di polizia, mi lasciarono circa due ore dentro il furgone in pieno sole.
Poi mi coprirono la testa con un golfino e mi trascinarono fino ai sotterranei, mentre mi colpivano con piedi e mani su tutto il corpo.
Anche qui, in cella rimasi sempre al buio e quando mi fecero uscire per gli interrogatori mi bendavano sempre gli occhi.
Durante la mia permanenza a Madrid persi totalmente la nozione del tempo. Lì le sessioni di interrogatori furono moltissime, ma non sono in grado di precisare quante, né quando si svolsero. Non mi lasciavano riposare e continuavano a portarmi dentro e fuori dalla cella a condurmi nuovamente in qualche sala per essere nuovamente interrogato.
Anche durante gli interrogatori a Madrid continuarono i pestaggi e le minacce costanti, ma non applicarono la borsa né gli elettrodi.
A Madrid mi visitò varie volte un medico fiscale, ma non so quante né con che frequenza.
Quando le chiedevo quando sarebbe tornata di nuovo, non mi rispondeva niente di preciso, da cui deducevo che i torturatori potevano disporre del tempo a loro piacimento.
Quando il medico mi chiedeva se avevo mangiato qualcosa dopo l’ultima visita, io non lo ricordavo:avevo perso completamente la nozione del tempo e i riferimenti concreti.
Mi minacciavano costantemente di torturarmi se di nuovo se avessi detto qualcosa al medico fiscale.
Temendo ciò e pensando ci fossero microfoni ovunque, in nessun momento denunciai al medico le torture subite.
La stessa cosa succedeva quando veniva l’avvocato d’ufficio per le dichiarazioni.
Mi dicevano che mi avrebbero torturato di nuovo se avessi cercato di rettificare davanti all’avvocato quello che mi avevano obbligato ad affermare sotto tortura.
Una volta compiuto questo rituale, di nuovo, fino alla dichiarazione successiva, continuavano gli interrogatori e le torture.
Durante la prima dichiarazione davanti all’avvocato, misero in un atto una simulazione: si presentò un falso avvocato, in realtà un membro della guardia civil, per controllare il mio comportamento.
Ne sono sicuro perché in nessun momento mi presentò alcun documento di identificazione e perché, alla terza o quarta domanda, finse di star male e sospesero la seduta.
Gli unici momenti durante i quali restai senza benda sugli occhi furono quelli delle dichiarazioni con l’avvocato e davanti al medico fiscale.
Rispetto al comportamento del medico, devo dire che in nessuna delle occasioni mi visitò. Al commissariato mi fece spogliare completamente: mi faceva rimanere in slip ma, stranamente, dopo cinque giorni dopo il mio ingresso nel carcere di Carabanchel, la stessa dottoressa si presentò per farmi un’ultima visita per ordine del giudice e in quella occasione mi fece spogliare completamente e potè vedere i pesanti segni che avevo sul ventre e sui testicoli."

Questo racconto è molto duro ma è la pura e semplice realtà dei fatti. Non bisogna nascondere ciò che accade, dobbiamo solo schifarci di tutti quei mezzi di informazione che censurano le violazioni dei diritti umani che subisce il popolo basco.
Tutti noi dobbiamo prendere una ferma posizione e dire no al gioco che portano avanti lo stato spagnolo e lo stato francese, alziamo la testa e uniamoci alla lotta per l’autodeterminazione dei Paesi Baschi per la liberazione dei prigionieri politici.

Per la collaborazione, grazie G.

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